Ritorniamo a scrivere sul nostro blog dopo il successo della
nostra iniziativa sul carnevale. Abbiamo incontrato e discusso con il regista
Nicola Ragone su Salandra,il suo futuro, le sue risorse e le opportunità da
sfruttare per scrivere una nuova storia e non lasciare questa comunità ad un
destino segnato.
Nicola Ragone nasce a Tricarico (MT) nel 1986,
sceneggiatore, regista teatrale e cinematografico. Laureato in Lettere e
Filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma, con una tesi triennale sul
teatro di Giorgio Strehler e una tesi Magistrale dal titolo “La zona grigia.
Voci dal Lager”. Si forma presso il “Cineteatro” di Roma, frequentando corsi di
Regia e Scrittura Cinematografica, Direzione dell’attore e Regia Teatrale. Con
altri suoi collaboratori fonda un’officina culturale chiamata “Fullframe”.
Inoltre aderisce al movimento teatrale “Minimo Comune Teatro”.
Il paesaggio, i luoghi di Salandra,
cosa potrebbero offrire da un punto di vista cinematografico?
Esistono posti in cui il tempo appare congelato, spazi che
conservano caratteri ancestrali, in cui si ode solo la natura che vive e
nient’altro.Volti bruni scavati e modellati come una scultura che viene continuamente
scolpita, che si consuma, ma rimane sempre uguale.Riquadri mitici, animali
liberi di agire nel proprio regno, terreno che respira, non soffocato dal
cemento, suolo calpestabile, paesaggi illuminati da una penombra che nasconde
il segreto della vita e dell’esistenza. Oasi felice, luogo del riparo, o del
rifugio dalle falsità del mondo reale, dei ricordi, delle origini.
Atmosfera lontana dalla realtà quotidiana, paesaggio
bucolico, paradiso terrestre e terreno, viaggio dentro se stessi...Il racconto
di alcune emozioni, la descrizione visiva ed emotiva dei luoghi che ci
appartengono; pensavo potesse essere giusto rispondere percorrendo
stilisticamente questa strada. I nostri paesaggi custodiscono una forte
potenzialità visiva. Girovagando nell’agro che circonda Salandra, sembra di
giungere in una Monument Valley non scoperta. E’ l’icona, l’immagine di un
mondo western, il nostro western, un orizzonte con regole proprie, un’isola
lontana dalle frenesie metropolitane, luogo delle piccole cose, dei dettagli,
spazio crepuscolare.Penso che il cinema possa scoprire, qui, un’immagine
fortissima, netta, contrastata, metafora di sensazioni ed emozioni uniche,
introvabili, senza tempo, lontane dalla realtà, che raccontano un quotidiano
mai descritto, lontano dalla letteratura e dal contemporaneo.
Riflettiamo sulla
figura di Padre Serafino e sull'importanza di continuare a parlare del figlio
migliore che Salandra abbia mai avuto anche dopo il tuo studio. Tu cosa ne
pensi?
La lingua, le immagini, le figure retoriche presenti nello
scritto di Serafino da Salandra risultano essere estremamente raffinate. Oltre
alla profondità dell’opera, mi ha sorpreso la sua modernità. E’ un testo che
riflette sulle dinamiche relazionali tra la figura maschile e la figura
femminile: oggetto desiderato dal diavolo ammaliatore e soggetto tentatore nei
confronti di un Adamo quasi inscalfibile. Un uomo che, di scena in scena,
consuma la corazza della moralità, cedendo all’Eva serpentina mossa dal
demonio. Un popolo che cade nel peccato, condannato alla ricerca del bene e
della salvezza.E’ interessante la visione di Serafino, influenzata dal suo
rapporto con la Chiesa dell’epoca, ma fortemente attuale proprio per i
comportamenti e le psicologie delineate, per le allegorie, per i simboli costruiti.
“Costruire un percorso” verso il regno utopico dell’equilibrio, questo l’invito
che Serafino pone allo spettatore.
Lo studio che ho svolto punta ad una rappresentazione, o
meglio ad un esperimento avanguardistico di questo concetto. Lo spettacolo non
ha la presunzione di tradurre l’insegnamento di un testo così complesso, ha
solo la volontà di mostrare al pubblico le immagini sensoriali di alcuni
accadimenti. Assistere al racconto di un evento, dichiarandone la sua finzione,
la sua messa in scena, questa l’intenzione. Distanziare il pubblico
dall’immedesimazione per permettere uno scarto, una riflessione, una
comprensione, cercando però di coinvolgere ogni individuo con il lavoro sulla
luce, sulla moltiplicazione dell’immagine proiettata, sugli effetti sonori e
sui corpi in movimento.
Creare nuove riflessioni, nuovi esperimenti, trarre
insegnamento da una materia vastissima, un tesoro che ci appartiene, che ci
appartiene in quanto esseri umani.
Continuare a parlarne, discuterne e puntare a divulgare
quella che è una straordinaria indagine sull’animo umano.
Per non concludere...
Raccogliendo le suddette riflessioni si potrebbe giungere
alla costruzione di un binomio: luoghi – Serafino. Sarebbe interessante unire
questi nostri tesori, cercando di render fertile un territorio che offre spazio
alla creazione e alla suggestione, in modo diverso, sempre nuovo.
Energie diverse, stimoli, linfa vitale e necessaria per la
nostra comunità.
Questo il trailer di SONDERKOMMANDO
https://www.youtube.com/watch?v=2GVAjTh8R3Q
Nicola
Ragone approda alla scena teatrale proponendo adattamenti da testi classici e
moderni. Mette in scena “Aspettando Vladimiro ed Estragone” (2009), ribaltando
il testo di Beckett che racconta l’attesa nei confronti del misterioso Godot.
Con la commedia “Un giudice” (2010), tratta da “La patente” di Pirandello, effettua
numerose repliche nei teatri di Roma e del Lazio. In seguito si avvicina al
teatro – danza firmando la regia dell’atto unico “L’asse di equilibrio” (2011).
Con il progetto “Eyes”, si avvicina al simbolismo del testo “I ciechi”, di
Maurice Maeterlink, proponendo uno studio sulla follia e sulla cecità. E’ un
percorso in un manicomio abbandonato: spazio decadente che il pubblico esplora
in modo attivo, potendo decidere il corso degli eventi. Un viaggio psichico,
suddiviso in una trilogia di spettacoli itineranti: “Eyes - tragedia della
vista” (2012), “Eyes – open space” (2013), “Eyes – empty space” (in
preparazione). Il suo percorso giunge ad una sperimentazione visiva e scenica
nella fiaba psichedelica “Studio sull’Adamo Caduto”, tratta dallo scritto di Serafino
da Salandra. Una serie di proiezioni animate e create su una parete di tulle
e una performance di corpi nudi in uno
spazio astratto, per raccontare la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso.
Al cinema,
il suo esordio è il noir dal titolo “L’ultimo nastro” (2009). Di seguito dirige
un episodio del lungometraggio “Quilty” (2010), scritto e diretto con altri 4
registi. “David Lazzaretti” (2011), è il cortometraggio in costume
commissionato dall’Università “La Sapienza”, tratto dalla storia vera del predicatore
di Arcidosso. Il suo terzo cortometraggio, “Oltreluomo” (2011), viene
proiettato allo Short Film Corner del Festival di Cannes e in circa 35
festival, riscuotendo numerosi riconoscimenti. E’ il racconto di una tragedia
avvenuta nel buio di una miniera nel 1881. Il tunnel soffocante e senza uscita
diventa metafora esistenziale e simbolo della cecità umana.Inoltre partecipa,
come aiuto-regia, alla realizzazione del documentario/backstage del film “Che
strano chiamarsi Federico” (2013), diretto da Ettore Scola. Nello stesso film
interpreta, come attore, il ruolo di Marcello Marchesi.Realizza la regia del
video-demo per lo spettacolo “Partitura P” (2013), di e con Fabrizio Falco,
disegno luci di Daniele Ciprì. Successivamente dirige il suo quarto cortometraggio
dal titolo “Sonderkommando” (2014), affresco che racconta la nascita di un
amore omosessuale in un campo di sterminio. L’opera viene ritenuta di interesse
culturale nazionale e quindi finanziata
dal Ministero dei Beni Culturali. La
sceneggiatura è di Silvia Scola, mentre la fotografia, in pellicola 35mm, è
firmata da Daniele Ciprì. Gli ambienti del campo di concentramento sono stati
disegnati, progettati e ricostruiti all’interno dei teatri di posa
dell’Augustus color, dall’Architetto Fabio Vitale.Nello stesso anno, firma la
regia del cortometraggio “La Riva”,
progetto finanziato dalla Lucana Film Commission e prodotto da Arifa Film. La
sperimentazione su spazi scenici non ortodossi, l’utilizzo narrativo della luce
e dei contrasti, il training con gli attori basato sullo studio di materiali
teorici e sul corpo, l’utilizzo di immagini-segno, rappresentano la sua cifra
stilistica.